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La Parola del Parroco

Ormai la notizia che il nostro Vescovo Mario farà la sua Visita Pastorale alla fine di novembre precisamente sabato 29 e domenica 30 ha ‘varcato’ le porte delle due Chiese di Vimodrone. È stato superato il primo filtro quello della sorpresa, della novità e delle cose da preparare (spero anche quello della preghiera e della gratitudine) per approdare alle tipiche domande di quando alle porte della città arriva un VIP.
Certo nulla a che vedere con l’ultimo e impegnativo matrimonio celebrato recentemente a Venezia, ma è pur sempre il Vescovo della Chiesa di Milano. E quindi: perché viene? Perché viene adesso? Ci sono problemi o cose da sistemare? Cosa gli diranno i parrocchiani doc? Vedrà anche lui che, ormai, i ragazzi non vanno più a Messa e che di matrimoni religiosi quasi non se ne parla più? Però una foto con il Vescovo da mostrare alla nonna e da postare sui social certo non guasta, e magari posso anche metterla nel prossimo CV – è il percorso formativo da presentare prima di essere assunti in un qualsiasi luogo di lavoro -.
Fatte queste considerazioni, vorrei presentare il Vescovo Mario a partire dal suo modo piuttosto unico e raro di ‘comunicare’ con la gente: da quelle che lui chiama “piccole perle di saggezza”. Sono brevi aneddoti che prendono spunto dalla vita concreta di una parrocchia milanese e sono diventati dei piccoli libretti scritti qualche anno fa. Di seguito una delle tante.
Convocare i fedeli in chiesa alla domenica.
Ai tempi del don Massimo c’erano le campane. Tre volte per ogni Messa. Si aveva l’impressione che un invito festoso visitasse le case del paese. Anche il giovanotto impigrito sotto le coperte sentiva il tocco discreto di un angelo: «È suonato il primo, è ora!»; e poco dopo la voce meno aggraziata del papà: «Sbrigati, è già suonato il terzo». E la chiesa si riempiva di gente persuasa che senza la Messa la domenica non è domenica. Ai tempi del don Luigi c’era una sorta di timore: «Se non venite a Messa, non vi ammetto alla Cresima!». Nessuno credeva realmente alla minaccia, però…
La chiesa si riempiva di ragazzi e di famiglie, forse più attratte dal piacere di incontrarsi che dal grande mistero della salvezza. Le chiacchiere in piazza erano più interessanti delle parole sante proclamate in chiesa. Il fatto è che «finito il catechismo» finiva anche la frequenza. Ai tempi del don Stefano c’era il teatro. La chiesa accoglieva come per uno spettacolo: il coro dei giovani con canti complicati e ritmi impossibili, la processione dei bambini con fantasiosi cortei e smorfie che intenerivano le mamme, la predica come un’intervista che premiava il ragazzo più esagitato. Il fatto è che nel trambusto la parola di Dio si smarriva e la «presenza reale» si dichiarava piuttosto assente. Ai tempi del don Roberto c’era il profeta. Il piglio deciso, la parola impietosa della denuncia, la frase ad effetto che strappava l’applauso davano il gusto di «non essere venuti in chiesa per niente». Il prete occupava tutta la scena. Venivano a Messa per lui e se non celebrava il «don» le panche restavano libere. Ai tempi del don Mario c’era il deserto. «Se organizzo la pizzata, si riempie l’oratorio; se invito alla Messa non viene nessuno». E se provassimo con la gioia?
Don Maurizio